Malattie infiammatorie croniche intestinali: nei pazienti con Crohn e Colite ulcerosa il rischio da contagio da Covid-19 non è aumentato
La pandemia ha messo in allarme tutti i soggetti affetti da patologie croniche, ritenuti pazienti fragili e dunque maggiormente
esposti al virus.
L’ipotesi iniziale, poi smentita, è stata dunque che anche i pazienti affetti da MICI – Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (malattia di Crohn o colite ulcerosa) fossero più suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2 e ad una forma più severa di COVID-19, sia perché affetti da infiammazione cronica con danno intestinale, sia perché spesso in trattamento con farmaci immunosoppressori.
Anche il meccanismo con cui il virus agisce sembrava suggerire questa conclusione: il SARS-CoV-2 entra nell’organismo umano attraverso il legame di una glicoproteina di superficie con i recettori ACE2 altamente espressi sulle cellule epiteliali che rivestono le vie aeree (pneumociti).
Da qui si attiva il sistema immunitario, generando uno stato di infiammazione acuta, nel tentativo di sopprimere la replicazione
virale all’interno della cellula polmonare, che ha esiti diversi da individuo a individuo. I recettori ACE2 sono presenti anche a livello dell’epitelio intestinale, e sintomi gastrointestinali nei soggetti sani con infezione da SARS-CoV-2 sono stati
riportati nel 18% degli infetti.
“E’ stato però riportata un’incidenza cumulativa di infezione da SARS-CoV-2 nei pazienti affetti da MICI di circa lo 0.25%,
percentuale lievemente inferiore a quella “teorica” registrata a livello nazionale – evidenzia Alessandro Armuzzi,
Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS Università Cattolica del Sacro Cuore e fino a novembre 2019
Segretario Nazionale IG-IBD – Trend simili sembrano riguardare la necessità di ospedalizzazione, di ventilazione meccanica, di
intubazione. I tassi di mortalità dei pazienti affetti da MICI e COVID-19, infine, sembrano anch’essi lievemente inferiori (3%)
rispetto a quelli della popolazione generale, seppur con variazioni geografiche non trascurabili”.
Diversi studi nazionali e internazionali dimostrano che i fattori di rischio per un’evoluzione peggiore della COVID-19 nei pazienti
affetti da MICI sono risultati essere l’età avanzata, la presenza di comorbidità, la malattia intestinale attiva e l’utilizzo di
corticosteroidi. “Al contrario, in pazienti affetti da MICI in terapia con farmaci biologici e con infezione da SARS-CoV-2 non sono
risultati essere a maggior rischio di evoluzione peggiore della COVID-19 – spiega il Prof. Armuzzi – Questo dato ha fatto ipotizzare
che i pazienti affetti da MICI in terapia biologica possano avere un certo grado di protezione da parte di questi farmaci
anti-infiammatori nei confronti della tempesta citochinica generata dall’attivazione del sistema immunitario
a livello polmonare, caratteristica della sindrome da distress respiratorio acuto nelle forme più gravi del COVID-19″.