La solitudine negli anziani

Tra le mille tragedie di questa crisi sanitaria, spesso si tenta di individuare qualche aspetto positivo che ci faccia pensare che, forse, dopo saremo migliori. Per esempio, salta agli occhi la grande fiducia che abbiamo imparato a riporre nella scienza e negli scienziati. Oramai, a loro fa riferimento anche la politica e alla loro interpretazione delle cose e dei dati sembra dipendere anche il nostro prossimo futuro sociale.

Sappiamo che questi tecnici non agiscono a caso, ma sono guidati dalle cosiddette riviste scientifiche. Se qualcosa non è pubblicato, è come se non esistesse ed è quindi giusto che i facili entusiasmi dell’opinione pubblica vengano smorzati dagli esperti che ci ricordano come “non ci siano ancora evidenza scientifiche univoche a supporto”. Che si tratti di nuove terapie, di test sierologici per capire, finalmente, se si è contratto il virus o di qualsiasi altra novità, la saggezza degli scienziati ci ricorda che occorre aspettare.

Tuttavia, questa ritrovata consapevolezza di quanto importante sia il ruolo della letteratura scientifica sarebbe opportuno valesse per ogni questione, non solo per smorzare gli entusiasmi pubblici.
Per esempio, credo che gli scienziati che governano le decisioni politiche in questi mesi di pandemia, siano consapevoli di quanto le misure di isolamento sociale aggravino l’annoso problema della solitudine tra gli anziani.

Isolati in casa, non è loro più concesso di partecipare alle poche iniziative sociali che li riguardavano, fosse l’iniziativa comunale del pomeriggio, la messa della mattina o la partita a briscola nel bar del quartiere.
In aggiunta, i figli e le persone vicine si sono astengono dalle visite per la paura di contagiarli. Così, sono venuti meno anche qui pochi momenti passati in famiglia o in compagnia.
Sia chiaro: queste restrizioni sono sacrosante per tutelare anzitutto la loro salute, la salute degli anziani. Tuttavia, a volte sembra che da soggetti tutelati, gli anziani diventino le prime vittime sociali di questa situazione.

Ma torniamo alla letteratura scientifica. Anche la prestigiosa rivista The Lancet si è occupata recentemente del problema, pubblicando un editoriale nel quale si ricorda che condizioni protratte di solitudine possono avere effetti nocivi sulla salute psicologica e su quella cardiovascolare, oltre che sul rischio di mortalità. Lo si sapeva già, per carità. Tuttavia, il fatto che lo dica The Lancet potrebbe smuovere qualche coscienza ancorata alla letteratura più che alla realtà di tutti i giorni.

L’editoriale, in particolare, riporta i dati emersi in una ricerca condotta dalle US National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine, nella quale si evidenzia che il sistema sociosanitario dovrebbe puntare a individuare le condizioni a rischio di solitudine soprattutto nelle persone più anziane, per le quali sono più frequenti eventi come la vedovanza, la morte di un amico, o anche il progressivo decadimento delle condizioni di salute e il deteriorarsi della funzionalità di vista e udito.

Sembra difficile che attenzioni di questo genere potranno essere prese da un sistema sanitario che si è dimenticato di prendere le adeguate misure di protezione per la case di cura degli anziani, ambenti già chiusi nei quali evitare che il virus entrasse non era davvero una missione impossibile.
Ora si stanno litigando i tamponi, e dai dati di oggi, emerge, per esempio, che delle 161 case di riposo milanesi, solo 30 hanno ricevuto i tamponi da inizio epidemia, con soli 1.671 test effettuati su 16.000 anziani ospitati.

In un paese che non ha saputo proteggere gli anziani già isolati nelle case di riposo, mi chiedo, ancora, quanto possa attecchire l’invito di The Lancet di trovare soluzione per alleviare la solitudine di chi è a casa.
Tuttavia, visto che la fonte è autorevole e, pertanto, degna di essere ascoltata, speriamo che smuova la coscienza in qualcuno tra i tecnici che governano il nostro governo.

 

La rivista The Lancet ha pubblicato un editoriale nel quale si ricorda che condizioni protratte di solitudine possono avere effetti nocivi sulla salute psicologica e su quella cardiovascolare, oltre che sul rischio di mortalità.

Di Alessandro Fornaro, farmacista e giornalista (15 aprile 2020)

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