Il ritorno dei farmaci psichedelici per la cura delle malattie mentali

I farmaci psichedelici potrebbero tornare a supporto delle cure delle malattie mentali dopo anni di oblio e condanna. Se ne è parlato durante il congresso nazionale della Società Italiana di Psichiatria, in corso a Verona.

“Psilocibina (funghetti magici), Mescalina (Peyote Cactus), DMY, LSD, e poi altri come Ecstasy e Ketamina, molecole bandite negli anni ’70-’80 perché ritenute dotate di un alto potenziale di abuso e prive di un apprezzabile valore medico – spiega Liliana Dell’Osso, presidente SIP – col nuovo millennio sono tornate al centro dell’interesse scientifico rimanendo tuttavia in bilico tra chi cautamente frena e prende le distanze dagli errori del passato e chi invece, con toni entusiastici, si spinge in avanti intravedendo un enorme potenziale terapeutico”.

“L’effetto è immediato e va supportato da un intervento di tipo psicologico, e la somministrazione va effettuata in un ambiente sanitario – precisa Giancarlo Cerveri, primario di Psichiatria a Lodi e responsabile della sessione sugli psichedelici al congresso Sip – I benefici persistono per mesi e la psilocibina non appare a rischio di dipendenza. I meccanismi con cui agisce sono del tutto diversi rispetto ai tradizionali antidepressivi”.

Per gli psichedelici atipici – spiega l’esperto – la ketamina è stata ampiamente utilizzata per la depressione resistente e un suo derivato (esketamina) è già usato anche in Italia per questa tipologia di disturbo”.

“Infine, esiste una condizione clinica di complesso trattamento, il disturbo post-traumatico da stress (Ptsd), in cui i pazienti permangono legati a una sintomatologia fortemente connessa all’evento traumatico, in cui l’utilizzo di un empatogeno come Mdma (meglio noto come ecstasy), associato a psicoterapia, sembra produrre risultati molto promettenti. In Australia è già cominciato il trattamento di alcuni pazienti con questa molecola”, conclude Cerveri.

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