Farmaci equivalenti a rischio: “Senza interventi immediati, sarà crisi irreversibile”

Il decimo Rapporto dell’Osservatorio Egualia-Nomisma lancia un allarme che non può più essere ignorato: i farmaci equivalenti, spina dorsale delle terapie croniche e presidio fondamentale di salute pubblica.
Rischiano di sparire dal mercato italiano se non verranno adottate misure urgenti di tutela del comparto.
I numeri del settore raccontano un paradosso preoccupante. In Italia operano 102 imprese con 10.900 addetti diretti, per un valore della produzione di 6,4 miliardi di euro e 1,6 miliardi di valore aggiunto generato.
Le aziende hanno investito e consolidato l’occupazione, ma i margini di redditività sono stati letteralmente erosi dall’aumento dei costi di produzione.
Più 32% tra il 2019 e il 2023, con un ulteriore balzo del 9,5% solo nell’ultimo anno, trainato dal rincaro delle materie prime cresciute del 40,6%. Il tutto mentre i prezzi dei farmaci equivalenti rimangono regolati e sostanzialmente fermi.
Come ha evidenziato Lucio Poma, capo economista di Nomisma, mentre il pane ha segnato un incremento del 45% e l’indice generale dei prezzi al consumo del 30%, i farmaci equivalenti critici sono fermi a un più 2% e quelli più diffusi addirittura in territorio deflattivo a meno 8%.
Una forbice insostenibile che distingue nettamente questi medicinali da quelli innovativi e che mette a rischio la tenuta industriale dell’intero comparto.

A preoccupare ulteriormente è il crescente rischio di concentrazione dell’offerta: oggi il 46% dei medicinali equivalenti critici è fornito da appena uno o due produttori, con casi in cui resta un unico fornitore per principio attivo.
Un sistema così fragile espone il Paese a carenze diffuse e prolungate, proprio sui farmaci essenziali per i pazienti cronici.
La vulnerabilità si estende all’intera Europa. Il continente acquista all’estero il 48% dei principi attivi, il 60% degli intermedi e l’85% delle materie prime regolamentate, un’architettura produttiva che amplifica drammaticamente i rischi di interruzione delle forniture.
Il Critical Medicines Act europeo rappresenta l’ultimo tentativo di mettere in sicurezza la filiera, ma serve una risposta concreta anche a livello nazionale.

Stefano Collatina
, presidente di Egualia, ha posto la questione in termini netti: “Non chiediamo sussidi a fondo perduto, ma condizioni economiche e regolatorie eque. Non si tratta di investire di più, ma di spendere meglio”.
Il riferimento è a un nuovo sistema che preveda prezzi sostenibili, gare multi-aggiudicatarie con criteri qualitativi e non solo al massimo ribasso, incentivi alla produzione europea e l’abolizione del payback sui farmaci fuori brevetto.
Alcune multinazionali hanno già dichiarato che nel biennio 2026-2027 potrebbero dover ritirare progressivamente le autorizzazioni all’immissione in commercio di diverse famiglie di principi attivi se i prezzi resteranno sotto le soglie minime di remuneratività.
Collatina ha anche lanciato un monito sulla perdita di capacità produttiva nazionale: “L’Italia vanta impianti di altissimo livello, una risorsa strategica che non possiamo disperdere.
Ma se non cambiamo rotta, le aziende smetteranno di investire e sceglieranno altri Paesi. Sarebbe una perdita irreparabile per il sistema industriale e per la sicurezza nazionale”.
Il Sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato ha riconosciuto il valore strategico del comparto, annunciando che il Testo Unico della legislazione farmaceutica si muoverà “con spirito di proattività, programmazione e sburocratizzazione” per dare certezze al settore e garantire continuità alle terapie.
I farmaci equivalenti non sono una commodity, sono la spina dorsale delle terapie quotidiane per milioni di cittadini.
Senza di loro non c’è SSN sostenibile, non c’è autonomia strategica europea, non c’è equità per i pazienti. È il momento di passare dalle dichiarazioni ai fatti: il tempo è già scaduto” – conclude del presidente di Egualia .

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