Colesterolo alto? La SIC lancia l’allarme: Dimagrire è la chiave

Il termometro della salute cardiovascolare italiana segna rosso: più di 1 connazionale su 4 convive con il colesterolo alto, spesso senza saperlo.
Ma mentre milioni di italiani continuano a ignorare questo silenzioso nemico del cuore, la scienza medica ha appena svelato una scoperta che potrebbe rivoluzionare il modo in cui gestiamo questo rischio.

La notizia arriva direttamente dai laboratori della Mayo Clinic: perdere anche solo un chilo di peso corporeo equivale a una riduzione del colesterolo di 1,28 mg/dL.
Non si tratta di una teoria astratta, ma del risultato di un’analisi monumentale che ha coinvolto 73 studi e oltre 32.000 partecipanti.
“Per ogni chilo perso, si riduce il colesterolo di 1,28 mg/dL”, confermano i ricercatori americani, dimostrando che la strada verso un cuore più sano passa anche dalla bilancia.

La consapevolezza del problema resta tuttavia drammaticamente bassa. I dati dell’Osservatorio Passi dell’Istituto Superiore di Sanità fotografano una realtà allarmante: solo il 18% degli italiani sa di avere il colesterolo alto.
Un italiano su due non considera pericoloso il colesterolo LDL, quello “cattivo”, mentre uno su tre pensa che l’ipercolesterolemia debba preoccupare esclusivamente chi ha già avuto problemi cardiaci.

Per colmare questo gap di informazione, la Fondazione Cuore e Circolazione “Il Cuore Siamo Noi” della Società Italiana di Cardiologia ha lanciato la campagna “E tu, hai a cuore il tuo cuore?”, che approderà sugli schermi RAI e Mediaset.
“Per ridurre il rischio di infarto e ictus, è importante mantenere bassi i livelli di colesterolo LDL”, sottolinea Francesco Barillà, Presidente della Fondazione, evidenziando come la prevenzione rimanga l’arma più efficace.

Ma la vera rivoluzione arriva dall’Europa. Le nuove linee guida per la gestione delle dislipidemie, presentate dalla European Society of Cardiology insieme alla European Atherosclerosis Society, hanno stravolto i parametri di riferimento che conoscevamo.
Il colesterolo totale, quello che da decenni domina i nostri esami del sangue, perde improvvisamente ogni rilevanza clinica.

“Pertanto il colesterolo totale perde di fatto ogni rilevanza clinica: potrà continuare a essere riportato negli esami di laboratorio, ma non ha più alcuna utilità né per stratificare il rischio né per guidare le decisioni terapeutiche”, spiega con chiarezza Gianfranco Sinagra, Presidente eletto della SIC. Una svolta epocale che segna la fine di un’era diagnostica.

Al suo posto fa il suo ingresso trionfale la lipoproteina(a), ribattezzata il colesterolo “super cattivo”. Questa molecola, ben più insidiosa del tradizionale LDL, nasconde un segreto nella sua struttura: una “coda” proteica che “rende le molecole più aterogene di molte altre particelle e il sangue più appiccicoso, aumentando il rischio di trombi e aterosclerosi”, come spiega Ciro Indolfi, Presidente della Federazione Italiana di Cardiologia.

Le nuove raccomandazioni europee sono categoriche: la lipoproteina(a) deve essere misurata almeno una volta nella vita di ogni adulto. Valori superiori a 50 mg/dL trasformano automaticamente il profilo di rischio cardiovascolare, spostando il paziente in una categoria di pericolo più elevata. Nel frattempo, la ricerca farmacologica sta già sperimentando nuovi farmaci capaci di ridurre i livelli di Lp(a) fino al 98%, anche se non sono ancora disponibili per l’uso clinico.

Nonostante questi progressi scientifici, la medicina mantiene un approccio pragmatico. Le linee guida continuano a privilegiare “il valore di ottimizzare lo stile di vita prima di qualsiasi intervento farmacologico”.
Come sottolinea Pasquale Perrone Filardi, Presidente SIC: “Se un paziente riesce a raggiungere i target di LDL attraverso alimentazione equilibrata, attività fisica e altri cambiamenti nel suo stile di vita, questo è l’esito migliore”.

I numeri globali del problema non lasciano spazio a interpretazioni: secondo un’indagine pubblicata su Nature Reviews Cardiology, il colesterolo alto ha causato disabilità in oltre 98 milioni di persone e provocato 4,4 milioni di decessi nel mondo.
Un tributo di vite umane che rende ancora più urgente la necessità di agire con consapevolezza e determinazione, armati delle nuove conoscenze che la scienza ci ha appena consegnato.

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